martedì 29 marzo 2016

Incompletezza

La noia, l'incostanza, la pigrizia, l'insoddisfazione ed il desiderio di voler inseguire troppi progetti contemporaneamente sono vizi che mi porto dietro, più o meno, fin dalla terza Elementare. Ritengo che siano stati la causa del fallimento della maggioranza degli obiettivi che mi sono posto nel corso di questi 23 anni.
Quando, poco più di un anno fa (dopo tre anni di pensieri fluttuanti e raccolte di idee in quaderni che hanno assunto sfumature progressivamente sempre più grottesche) decisi finalmente di aprire questo blog, speravo potesse diventare quel tanto anelato spazio di libero sfogo creativo, che fosse duraturo nel tempo. Invece mi accorgo che si è rapidamente trasformato in una di quelle città fantasma che occupano le diverse lande desolate della vastità di Internet.
Ho sempre considerato le pagine web non più aggiornate alla stregua di una vecchia industria che ha cessato la sua produzione o come le rovine di un'antica civiltà distrutta improvvisamente da un cataclisma. Quei siti sono storie interrotte, che sopravvivono nella loro disarmante incompletezza sancita dalla laconica data dell'ultimo post. Spesso si tratta solo della cessazione delle forze creative; si smette di scrivere per stanchezza o per esaurimento di idee. 
Nel mio caso non posso dire sia stata ciò la causa di tale decadenza. Non so cosa mi abbia portato ad allungare i tempi tra un post e l'altro. Osservando ciò che ho pubblicato in passato, posso solo notare un graduale processo di estinzione, iniziato paradossalmente all'apice dell'entusiasmo, proprio quando speravo di poter proporre nuove idee. Ed esse sono ancora vive in me ma indiscutibilmente intrappolate. 
Sento che c'è ancora qualcosa di realizzabile. Il problema è farlo... Sarà forse la costante malinconia, che accompagna ogni mia azione quotidiana, che mi trattiene dal ricominciare a ritagliare un'ora al giorno di creatività, com'ero in grado di fare alcuni anni fa. O, forse, è solo la realizzazione di quanto tutto ciò sia solo una misera pretesa velleitaria, come l'improvvisa voglia di imparare a suonare l'ukulele...
Qualora dovesse giacere nella sua incompletezza, non credo che nessuno sentirà mai la mancanza di questo blog. Forse nemmeno quegli amici (a cui sono immensamente grato) che lo leggevano solo per consigliarne gli articoli su Google... 
Questo post, però, non vuole essere un addio. È solo un istante lasciato in sospeso. Ho bisogno di fare un po' d'ordine per capire se sia davvero in grado di trovare ancora spazio per il blog. Vedrò di disegnare per conto mio per capire quante idee di buona qualità sia in grado di realizzare. Perciò non posso dare nessun appuntamento al viandante informatico che si è imbattuto per caso in questo luogo.
Per ora, posso solo invitarlo a dare un'occhiata alle rovine.



martedì 8 settembre 2015

Estivazione

Pure quest’anno ho trascorso l'estate chiuso in casa. Solo io ed i libri. Nulla d'interessante da raccontare a chi mi chiede come abbia trascorso le vacanze. E la cosa contribuisce non poco a rendermi la persona più noiosa del mondo. Nonché una delle più pallide.
D'altronde, se decidi di preparare due esami per settembre, la cosa più entusiasmante che ti può capitare è un fantastico delirio da sovraccarico di studio. Ad un certo punto è normale che la tua testa riecheggi di espressioni come quadro clinico, milligrammi su decilitro e tendenzialmente per tutta la notte. E no, a ripeterle non era mica la cavalletta con la maschera subacquea seduta sul mio comodino che continuava a propormi un viaggio in tandem per Ganimede. Ora che ci penso era proprio un seccatrice… Non avevo bisogno di nessun viaggio! Mica ero così stressato…
L'unico viaggio che ho seguito è stato quello in moto di Robert M. Pirsig accompagnato dalle sue divagazioni retoriche sul concetto di qualità. Ho realizzato che c'è chi ha raggiunto condizioni mentali più distruttive della mia. Almeno io avevo Piero Angela a rassicurarmi col suo ottimismo razionale ogni giovedì sera. Nonostante l'ennesimo documentario sul guado del fiume Mara.
In un paesino di provincia, è sempre inevitabile cullarsi sui ritmi della monotonia, che diventa paradossalmente spettrale quando si associa ai soliti rituali estivi delle feste paesane. È un ottimo incentivo per non uscire la sera, godersi un buon film e svegliarsi presto il mattino dopo.
Tralasciando lo stress, questo annuale isolamento dal resto del mondo nel posto in cui sono cresciuto non mi dispiace. Trovo sia il modo migliore per riflettere su me stesso. Specialmente durante le passeggiate tra le meravigliose campagne intorno casa mentre il sole tinge di rosso il profilo delle colline, la brezza mi accarezza le orecchie ed i pigri esemplari di Graphosoma italicum si accoppiano romanticamente fra i fiori di achillea punteggiandoli di rosso. Per non dimenticare tutti quegli adorabili cani che abbaiano e ringhiano vedendomi passare, interrompendo il rilassante canto delle cicale.
È strano a volte fermarsi e realizzare come le cose stiano incessantemente cambiando. Nonostante la continua staticità, ogni estate diventa inevitabilmente diversa dalla precedente in un posto con sempre più cemento e sempre meno volti amichevoli. Sono questi squilibri che mi fanno osservare con più attenzione tutta la terra bruciata che ho percorso mentre il futuro piomba alle spalle cercando di definire una direzione. Non l'ho mai realizzato come quest’anno.
Forse ho accumulato troppi errori.
Forte di questo miglioramento interiore, una volta tornato a Pisa, dopo aver dato il primo dei due esami, per rilassarmi ho cominciato a guardare le foto dei casi umani esposti su La fabbrica del degrado e le mie risate hanno spinto il mio Q.I. giù per parecchi gradini della scala di Wechsler. Senza pietà. Ora è in prognosi riservata con trauma cranico e fratture multiple.
In poche parole sono più rincoglionito di prima. Non volevo spaventare nessuno.
Tutto questo per giustificare ai miei lettori (che al momento sono meno degli abitanti delle Isole Pitcairn, tanto per fare una stima generosa) la mia lunga assenza dal blog, che negli ultimi tempi è diventato interessante come un film di Simon Pegg. Anche se quello che scrivo importa a pochi, devo dire che ho raccolto parecchie idee per rinnovare un po' questo spazio e conto di realizzarle non appena sparirà l’ansia per il prossimo esame (assieme all'esame, si spera). Complici Moebius ed i Bluvertigo che non c’entrano proprio nulla con quello che andrò a fare.
Comunque si tratta di idee migliori di un velociraptor, tranquilli…


giovedì 30 luglio 2015

Velociraptor

Quando torno a casa mi piace rovistare nei cassetti alla ricerca dei disegni della mia infanzia. Non è difficile trovarli dato che infarciscono praticamente ogni mobile. Soni strati sedimentari di fogli più o meno colorati, testimonianza di un Mondo perduto. Non a caso rappresentano quasi solo dinosauri.
Mi è salita un po' di nostalgia. Così mi sono dedicato a questo Velociraptor con tutta l'ignoranza paleontologica di cui dispongo. Nonostante i creatori di Jurassic World la pensino diversamente, Velociraptor era un vero e proprio pennuto com'è ragionevole dedurre dai suoi resti fossili e da quelli dei suoi parenti stretti.
Rappresentare dinosauri è un lavoro d'immaginazione che dovrebbe avere delle solide basi scientifiche. Spesso queste vengono dimenticate, lasciando in secondo piano l'anatomia dei fossili. Così com'è successo ai Velociraptor di Jurassic World: ormai sono solo un'icona pop, figli di un pensiero scientifico abbandonato da decenni. Eppure vengono ancora riproposti nudi come polli in macelleria. 
Una ricostruzione obsoleta che viene affiancata all'immagine di mostri geneticamente modificati, generati dalle paranoie del nostro millennio. E forse è proprio vero che l’ingegneria genetica aumenta il cosiddetto “fattore WOW”, a giudicare dagli incassi del film.
Vedo l'autore di quei vecchi disegni ed i bambini che oggi parlano sul bus della malvagità di Indominus rex e penso che neanche qualcosa di romanticamente possente come un dinosauro sia più capace di stupire la più semplice delle menti.
Forse è proprio vero che ci stiamo estinguendo. Peccato che nessuno ci clonerà.


domenica 12 luglio 2015

Serraglio #1

Qui inauguro uno spazio che sarà parecchio frequente a causa dei miei impegni universitari e della mia enorme pigrizia. Nel Serraglio raccoglierò tutti quei disegni fatti semplicemente per allenare la mano assieme a qualche studio anatomico. Giusto per dimostrarvi che mi metto d'impegno con l'anatomia. Anche se non si vede. 


sabato 11 luglio 2015

Samsa

Trovo che gli insetti siano degli animali deliziosi. No, non come cibo. Saranno pure più nutrienti e salutari delle carni rosse ma continuerò sempre a preferire le bistecche di manzo alle cavallette fritte.
Mi riferivo ad una delizia che coniuga il piacere estetico all'interesse scientifico. È un sentimento difficile da spiegare. Anche perché l'interlocutore medio è incantato dal pelo dei suoi animali domestici e dalla loro supposta intelligenza. Tende ad escludere dal suo sistema di valori gli umili esapodi a causa del loro bauplan così diverso da quello di un vertebrato omeotermo.
Nonostante la mia perversa passione entomologica, condivido la naturale repulsione umana verso gli scarafaggi.
Nel linguaggio comune il termine “scarafaggio” è utilizzato spesso in maniera impropria. Più volte l'ho sentito impiegato per insultare i pigri coleotteri dalle elitre scure che passeggiano sul ciglio delle strade di campagna nelle sere estive. Gli scarafaggi appartengono ad un ordine diverso dai coleotteri. Sono filogeneticamente più vicini alle mantidi religiose. Comprendono anche alcune specie tropicali di particolare bellezza. Ok, fino ad un certo punto…
Le specie che ci sono più familiari, come la Periplaneta americana, hanno raggiunto una diffusione su scala mondiale. Questo gli è stato possibile anche grazie alla loro assidua frequentazione degli esseri umani. Essersi adattati nel nutrirsi di tutto ciò che all'uomo non serviva è stato un punto chiave del loro successo evolutivo. Rifiuti, deiezioni, liquami, avanzi di cibo possono diventare leccornie prelibate per un mucchio di organismi che possono diventare veicolo di malattie. Sono inevitabilmente diventati il viscido emblema di chi continua a vivere parassitando gli scarti degli altri. Fino a trasformarsi in quello di cui vive.
Si tratta anche di una celeberrima metafora letteraria che non auguro a nessuno di sperimentare.


Una mattina può capitare di svegliarsi come accadde a Gregor Samsa. Assaggiare quel senso di disgusto nel ritrovarsi a vestire i panni di una creatura abituata a vivere di avanzi di umanità. Rimanere distesi sul letto ad agitare disperatamente i propri arti verso l'unica cosa che si riesce a vedere: il soffitto. È uno spazio bianco che diventa lo schermo su cui proiettare le proprie illusioni. Quello che si vorrebbe essere e tutto ciò che si desidera. Quello che poteva accadere e che la propria natura ha impedito. Il soffitto diventa un emblema della salvezza. Finché si resta sul letto ad agitarsi, nulla di tutto ciò potrà mai realizzarsi. Lo scarafaggio lotta per capovolgersi e tentare di arrampicarsi sulle pareti. Per cercare di raggiungere idealmente le proprie ambizioni di umanità disegnate sul soffitto.
Ecco. È quando comincio a scrivere in questo modo che mi sento un po' Fabio Volo.
Dopotutto esistono condizioni peggiori dell'essere scarafaggio…
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