venerdì 6 febbraio 2015

Partorire un logo

Adoro la musica. Come molti. E come molti ho provato anch'io a suonare. Ho provato ad imbracciare una chitarra ispirato dai Pink Floyd e dai Led Zeppelin. E dalla speranza di incrementare la mia fitness riproduttiva. Secondo qualche ricerca pare che la cosa abbia un suo senso. Non che ne abbia beneficiato molto in realtà. In effetti, il pubblico di una chiesa di paese conta poche groupie tra le sue file…
Pur non avendo mai avuto un gruppo ne ho sempre bazzicati molti e spesso mi hanno chiesto di disegnare qualcosa per loro. Nessuno ha mai utilizzato nulla di quel materiale. E forse c'è un motivo.
Tutti mi hanno riempito di vano lavoro tranne i Room 6. A quanto pare si accontentano di poco.
Appena nasce una band, i suoi membri decidono di utilizzare un nome che si riferisca al/alla  proprio/a canzone/disco/artista/film preferito/a, ad un liquore, all'assenza di un vero nome (originalissime le nomenclature come Senza Nome oppure No Name, giusto per essere un po' più internazionali), ad un codice alfanumerico oppure alla sala prove.
Quest'ultimo è il caso dei Room 6.
Se cercate su internet ci saranno almeno una decina di band con lo stesso nome. La cosa può scoraggiare un gruppo rock agli esordi ma direi che è facile emergere quando hai un nome originale. Più difficile è distinguersi da tutti quelli che si chiamano come te (la cosa mi sta abbastanza a cuore perché è sufficiente gridare il mio nome in una qualsiasi piazza del mio paesino per vedere voltarsi almeno dieci persone).
In alcuni casi la cosa riesce: se vi parlassi dei Nirvana difficilmente vi ricordereste di un gruppo rock cristiano degli anni '80 o di Buddha.
Probabilmente il nome sarà solo provvisorio. Magari lo cambieranno come fecero i Radiohead, che passarono dal giorno settimanale delle loro prove (On a Friday) ad una canzone dei Talking Heads. Chi può dirlo? Per ora mi hanno chiesto di utilizzarlo per farne un logo (sapete, una di quelle scritte fighe che identifica visceralmente un gruppo per poi campeggiare sgargiante sulle magliette facendo esclamare al tipico fan: “Bella, Zi'! Pure tu ti flesci coi Room 6?” “Non oserei mai affermare il contrario, mio giovane sodale! Le note di codesti quattro menestrelli mi inebriano alquanto!”)
Ma andiamo per gradi.
Vi starete chiedendo chi saranno mai questi Room 6?
Trattasi di un gruppo rock nato a Pisa nel 2014 dopo molte peripezie (tra cambi e aggiunte di cantanti, bassisti e chitarristi) nella stanza numero 6 di una nota sala prove locale.
Attualmente pare abbiano raggiunto un’identità stabile con quattro componenti: Giovanni Palmitesta (basso e voce), Guido Scibetta (chitarra e cori), Aurelio Lepore (chitarra) e Marco Pulieri (batteria). Rispettivamente: un abruzzese, un toscano (mezzo siculo e mezzo sardo), un campano ed un pugliese.
Più o meno rassomigliano a queste quattro linee tracciate durante una serata di prove:


Era tardi e si agitavano troppo. È stato il massimo dell’accuratezza che potessi ottenere (infatti c'è un leggerissimo tocco di Photoshop…)
Se un tipo come me, cresciuto con i cantautori folk ed il rock classico, vi dice che questi tizi spaccano, allora dovete  per forza fidarvi. Prima che il mio amico Aurelio cominciasse a bombardarmi con Tool ed Alter Bridge, il mondo del metal, nelle sue sfumature alternative e progressive (a volte mi rendo conto che la tassonomia dei generi musicali è ben più complessa di quella dei Coleotteri Carabidi…), mi era del tutto sconosciuto.
I Room 6, ovviamente, stanno su quella strada. Incastrano riff pesanti e distorti su tempi rigorosamente dispari, mantenuti con sudore da quel metronomo biologico che è Marco. 
È da quando conosco Aurelio che vengo quotidianamente tormentato dai numeratori dei tempi delle canzoni che ascolta. Io, che riesco a malapena a contare fino a quattro, ho sempre annuito facendo finta di capire. 
Un pervertito del genere non poteva che trovarsi a suo agio con Giovanni, che probabilmente avrà qualche debito di gioco con Chris Squire. Quando vidi eseguire live il loro primo pezzo, ricordo ancora lo sguardo stralunato di Marco che implorava pietà…
A questi tre brutti ceffi l’anno scorso si è aggiunto Guido, un virtuoso chitarrista nonché uno dei più grandi showman che conosca, un personaggio che carica ogni pezzo di una cruda essenza metallara, tanto che gli altri sono spesso costretti tenerlo a bada.
La caratteristica fondamentale dei Room 6 è l’essenzialità dei loro pezzi, che corrono lungo linee distortissime ma estremamente precise, lasciando spazio a raffinate melodie su cui si innestano le schiette liriche di Giovanni, vagamente cantautorali e rigorosamente in Italiano (cosa rara per un gruppo di giovani metallari alternativi). Il tutto culmina con i capolavori solistici che Aurelio dipinge sapientemente con la sua chitarra dal sapore Tremontiano.
Nonostante i tempi dispari, non aspettatevi di ondeggiare dolcemente nella tipica aria di sacralità che spesso circonda qualsiasi altro gruppo progressive. Chi conosce la musica non potrà far altro che ammirare l’architettura dei pezzi ed un bacchettone ignorante come me a stento si tratterrà dal dimenarsi lanciando qualche gridolino sotto quelle ritmiche incalzanti.
È raro trovare un gruppo che sappia scrivere in maniera non banale senza necessariamente riempire di ghiaia le mutande dell'ascoltatore medio di Virgin Radio.
Per ora, queste quattro teste gloriose se ne stanno ancora in studio a scrivere. Hanno accumulato un bel po' di pezzi che, per ora, presentano live di locale in locale aspettando di lavorare finalmente ad un disco. Forse arriverà entro l’anno. Vedremo…
Ma in tutto questo, io che c'entro?
Fondamentalmente avrete capito che sono uno di quei fanatici che senza alcuna esitazione si etichetterebbe come ammiratore numero uno. Sarò stato al 95% dei loro concerti e ne sono sempre uscito sudatissimo.
Una sera, al termine di una jam a Viareggio, si parlava di fare un logo per il gruppo. Aurelio, che ha visto fin troppe delle mie pessime caricature dei professori, mi ha indicato. Ed allora giù proposte e bozzetti.
Avrò consumato mezzo blocco da disegno per arrivare ad una conclusione decente. Specialmente è stata dura lavorare a quel qualcosa di femminile che desiderava Giovanni. Ho realizzato un quantitativo tale di studi anatomici su Rihanna che forse neanche Leonardo Da Vinci fece per la Battaglia di Anghiari (ovviamente Leonardo sapeva disegnare e non usò Rihanna come modella e no, maliziosetti che non siete altro, studi anatomici non vuol dire quello che state pensando…)
È venuto fuori qualcosa di accattivante.
Purtroppo, secondo Valeria, la ragazza di Marco, quelle natiche umiliavano troppo le donne. L'opinione rispecchiava quella delle altre fanciulle che hanno preso visione del bozzetto. Perciò abbiamo deciso di eliminare il qualcosa di femminile in favore di una scritta che fosse semplicemente sinuosa.
Tra gli altri prototipi di logo, personalmente, me ne piaceva uno tutto spigoloso a forma di chiave ma, quando l’ho fatto vedere a Giovanni, essendo provvisoriamente colorato di blu e rosso, mi ha detto: “Sai che mi è venuto in mente appena l'ho visto? Jeeg Robot!”
Alla fine ho preso il logo sessista, l'ho ripulito dai glutei, ed ho giocato con un po' di grafica vettoriale. Ho eliminato la silhouette di spalle che si spogliava nel profilo della serratura ed ho inserito quest'ultima in un semplice 6 centrale. Mi è stato indicato di fare una scritta verde su sfondo nero. Il risultato è stato il seguente:

Sala 6

Mi pare di sentire da lontano un'orda di giudizi in arrivo. 
Sono consapevole che non si tratta del migliore dei loghi possibili. Non mi stupirei di trovarlo in una simpaticissima classifica dei 100 peggiori loghi della storia della musica rock secondo Rolling Stone. E poi mi è stato già fatto notare che le due O con quel 6 centrale ricordano un po' il muso di un panda gigante (quindi, se qualcun altro dovesse sentire l'impellente necessità di farmelo presente, aggiunga alla sua arguta osservazione il fatto che l’acqua bolle a 100° C a livello del mare, tanto per sapere qualcosa di nuovo…)
Vi lascio liberi di intenderlo come un messaggio subliminale. Quando si saranno stancati delle piramidi massoniche e del satanismo di ignari gruppi hard rock, i programmi televisivi a tema fabbricheranno un quantitativo abnorme di servizi dedicati al panda dei Room 6. Che poi l’inserimento nel logo di un mammifero appartenente alla megafauna carismatica, simbolo di una celebre associazione che tutela l'ambiente e le specie a rischio, fa molto ecologico (che di questi tempi è sempre un’ottima pubblicità) e piace molto alle donzelle.
Altro che sessista.
Qualora i Room 6 in futuro dovessero decidere di cambiare nome o se dovessero imbattersi in un grafico migliore, il logo sicuramente cambierà aspetto. Queste cose evolvono, come le forme di vita.
Staremo a vedere.
Per adesso l'ho pubblicato su questo blog prima di darlo in pasto a Facebook, che ha la malsana abitudine di appropriarsi di qualsiasi cosa (come la vostra anima, ad esempio). Qui, almeno, c'è una minuscola etichetta Creative Commons che lo protegge come una copertina di pile.
Avrei voluto pubblicare qualche altro disegno prima del logo (ho realizzato qualcosina in questi mesi; non sono proprio pigrissimo, eh?) ma i ragazzi premevano per metterlo sulla loro pagina Facebook prima del loro prossimo concerto, che sarà domani sera a Pisa (mettete un Mi piace qui per seguire il gruppo). Se siete nei dintorni andate ad ascoltarli. Il perché non sto a ripetervelo.
Ora ho perso fin troppo tempo e torno a sussurrare percentuali a memoria ossessivamente, come farebbe un bambino savant, per il prossimo esame. 
Mi sento quasi in colpa verso tutti questi esausti studenti che stanno costruendo il loro futuro rinchiusi in un'aula studio. Tranne che per quei due piccioncini di fronte a me. Un po' di decenza, suvvia! C’è gente che sta soffrendo…

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