lunedì 16 febbraio 2015

Momenti romantidi

Non so voi, ma personalmente non ho mai desiderato essere un maschio di mantide religiosa. Va bene che può capitare di perdere la testa per una femmina, però la prospettiva che lei possa staccarmela letteralmente a morsi per poi divorarla assieme al resto del mio corpo, durante o dopo l'amplesso, non è per nulla rassicurante.
Il maschio della mantide è consapevole di questo rischio. Infatti si avvicina con estrema cautela alla famelica femmina, che potrebbe considerarlo alla stregua di una preda piuttosto che di un partner.
Più che in una friendzone, rischia di essere relegato in una foodzone.
Quando riesce ad accoppiarsi, non è per forza detto che sia destinato a finire nello stomaco della sua signora: sono stati documentati molti casi in cui la femmina ha risparmiato il maschio al termine della copula, forse perché già sazia (che siano dilettanti o professionisti, l’attività preferita degli entomologi è fare i guardoni…)
Il fatto che la femmina non divori sistematicamente il proprio partner svincola questo etologico abbraccio fra eros e thanatos dalle tante obbligatorie spiegazioni evoluzionistiche fornite negli anni per giustificare tale comportamento cannibalistico (ma questa è un’altra storia; se siete davvero interessati, vi propongo di leggere il saggio E rimasero solo le ali di Stephen Jay Gould nel suo libro Il sorriso del fenicottero).
Questa cruenta pratica è ormai entrata a far parte dell’immaginario collettivo. Circa un mese fa, quando tre singolari foto naturalistiche sono state diffuse in rete da alcuni quotidiani online, fra gli ironici commenti degli utenti di Facebook vi erano numerosi riferimenti a tale abitudine alimentare. O sessuale, dipende dai punti di vista…
Il primo degli scatti raffigurava due mantidi, una di fronte all'altra, poggiate su di un rametto in una foresta indonesiana. Il maschio stringeva una margheritina fra le sue zampette raptatorie come per offrirla alla femmina in segno del suo amore incondizionato.
Che insetto romantico! Come sa sorprenderci la natura!
Peccato che Yudy Sauw, il talentuoso autore della foto, abbia voluto aggiungere digitalmente il fiorellino, quasi con l’intento di confezionare un biglietto di san Valentino fatto apposta per coppie di appassionati entomologi.

Fiore

A rompere l'idilliaca promessa d'amore, però, arrivano i due scatti successivi: le altre foto mostrano come lo spavaldo ingresso di un altro maschio distragga totalmente la femmina dalla margherita.
Ed io non ho potuto far altro che provare una profonda compassione verso quel povero Romeo abbandonato a se stesso.
Immagino quanto abbia sofferto a starsene lì impalato col suo inutile fiorellino, costretto  ad osservare da lontano l'oggetto del suo disperato amore mentre pendeva dalle mandibole di un altro maschio. Forse il rivale era un esemplare molto sicuro di sé, bravo a raccontare insulse esperienze di vita millantando litri di sudore in palestra. Forse aveva uno yacht.
Fatto sta che il nuovo arrivato riempie di chiacchiere la femmina, aspettando il momento più opportuno per tirare fuori i cerci e farla definitivamente sua.
Il nostro eroe li guarda. Non può fare assolutamente nulla per rovinare l'incontro. Capisce che è troppo tardi. Che una margherita non potrà mai allontanare la sua bella dal nuovo spasimante. Che lei non capirà mai la purezza dei suoi sentimenti.
E pensare che era stato ore ed ore in bagno ad aggiustarsi le antenne. A ripetere davanti allo specchio la dichiarazione che avrebbe accompagnato il suo pegno d'amore.
Aveva perso un’intera giornata per trovare quel dannato fiorellino.
Ora resta immobile, con un sorriso di cortesia appena abbozzato che maschera maldestramente il suo groppo all’ingluvie.
Lei, ad un certo punto, sembra provare un minimo imbarazzo e si avvicina per offrirgli la cruda realtà: “Senti, sei stato davvero tanto carino. Tu mi interessi, sì… Però mi interessi di più… come cibo…”
Pugno nello stomaco. 
“Mi dispiace davvero che tu abbia frainteso ma ti vedo solo come un pranzo.”
Lacrimuccia.
Lui sa che non riuscirà mai a sopportare questo atroce dolore. Smarrita ogni speranza riproduttiva, desidera tanto che lei mantenga la promessa e lo divori immediatamente. Vuole porre fine a questa sofferenza.
Ma lei lo guarda inespressiva e poi va via. La brezza estiva le accarezza soavemente quelle leggiadre antenne. Lui riesce a cogliere nell’aria le ultime molecole dei suoi feromoni mentre lei si allontana col suo nuovo ragazzo.
Comincia a piovere e parte come sottofondo (He’s) The Great Imposter dei Fleetwoods.
Lui rimane lì a ricordare tutti i felici momenti trascorsi con lei, a ridere e a farle da zerbino.
Ha ancora quella stupida margherita fra le zampe. Fosse stata una cavalletta, l’avrebbe mangiata volentieri ma i fiori gli fanno troppo schifo.
Lo so. Ho romanzato troppo. Non c'è alcuna prova che il nostro eroe sia stato scaricato. È possibile ci sia stato un lieto fine. Ero io che non ne avevo voglia.
Mi rendo conto come basti una semplice foto per interpretare l’universo secondo la propria umana esperienza. Pare che Homo sapiens riesca a stupirsi della natura solo quando quest’ultima sembra tingersi di sfumature antropomorfe. Considerando quanto c'è da sorprendersi osservando i variegati comportamenti degli invertebrati, le loro forme ed i loro cicli vitali, trovo superfluo questo senso di meraviglia per una mantide religiosa resa galante da un software di grafica.
Se desiderate stupirvi per qualcosa di realmente umano, provate ad aprire un libro di Anatomia (umana ovviamente). Sono convinto che ne rimarrete estasiati.
Capitò anche a me la prima volta. E tutte le volte successive.
Almeno finché non ho dovuto imparare due libri a memoria per un esame…

venerdì 6 febbraio 2015

Partorire un logo

Adoro la musica. Come molti. E come molti ho provato anch'io a suonare. Ho provato ad imbracciare una chitarra ispirato dai Pink Floyd e dai Led Zeppelin. E dalla speranza di incrementare la mia fitness riproduttiva. Secondo qualche ricerca pare che la cosa abbia un suo senso. Non che ne abbia beneficiato molto in realtà. In effetti, il pubblico di una chiesa di paese conta poche groupie tra le sue file…
Pur non avendo mai avuto un gruppo ne ho sempre bazzicati molti e spesso mi hanno chiesto di disegnare qualcosa per loro. Nessuno ha mai utilizzato nulla di quel materiale. E forse c'è un motivo.
Tutti mi hanno riempito di vano lavoro tranne i Room 6. A quanto pare si accontentano di poco.
Appena nasce una band, i suoi membri decidono di utilizzare un nome che si riferisca al/alla  proprio/a canzone/disco/artista/film preferito/a, ad un liquore, all'assenza di un vero nome (originalissime le nomenclature come Senza Nome oppure No Name, giusto per essere un po' più internazionali), ad un codice alfanumerico oppure alla sala prove.
Quest'ultimo è il caso dei Room 6.
Se cercate su internet ci saranno almeno una decina di band con lo stesso nome. La cosa può scoraggiare un gruppo rock agli esordi ma direi che è facile emergere quando hai un nome originale. Più difficile è distinguersi da tutti quelli che si chiamano come te (la cosa mi sta abbastanza a cuore perché è sufficiente gridare il mio nome in una qualsiasi piazza del mio paesino per vedere voltarsi almeno dieci persone).
In alcuni casi la cosa riesce: se vi parlassi dei Nirvana difficilmente vi ricordereste di un gruppo rock cristiano degli anni '80 o di Buddha.
Probabilmente il nome sarà solo provvisorio. Magari lo cambieranno come fecero i Radiohead, che passarono dal giorno settimanale delle loro prove (On a Friday) ad una canzone dei Talking Heads. Chi può dirlo? Per ora mi hanno chiesto di utilizzarlo per farne un logo (sapete, una di quelle scritte fighe che identifica visceralmente un gruppo per poi campeggiare sgargiante sulle magliette facendo esclamare al tipico fan: “Bella, Zi'! Pure tu ti flesci coi Room 6?” “Non oserei mai affermare il contrario, mio giovane sodale! Le note di codesti quattro menestrelli mi inebriano alquanto!”)
Ma andiamo per gradi.
Vi starete chiedendo chi saranno mai questi Room 6?
Trattasi di un gruppo rock nato a Pisa nel 2014 dopo molte peripezie (tra cambi e aggiunte di cantanti, bassisti e chitarristi) nella stanza numero 6 di una nota sala prove locale.
Attualmente pare abbiano raggiunto un’identità stabile con quattro componenti: Giovanni Palmitesta (basso e voce), Guido Scibetta (chitarra e cori), Aurelio Lepore (chitarra) e Marco Pulieri (batteria). Rispettivamente: un abruzzese, un toscano (mezzo siculo e mezzo sardo), un campano ed un pugliese.
Più o meno rassomigliano a queste quattro linee tracciate durante una serata di prove:


Era tardi e si agitavano troppo. È stato il massimo dell’accuratezza che potessi ottenere (infatti c'è un leggerissimo tocco di Photoshop…)
Se un tipo come me, cresciuto con i cantautori folk ed il rock classico, vi dice che questi tizi spaccano, allora dovete  per forza fidarvi. Prima che il mio amico Aurelio cominciasse a bombardarmi con Tool ed Alter Bridge, il mondo del metal, nelle sue sfumature alternative e progressive (a volte mi rendo conto che la tassonomia dei generi musicali è ben più complessa di quella dei Coleotteri Carabidi…), mi era del tutto sconosciuto.
I Room 6, ovviamente, stanno su quella strada. Incastrano riff pesanti e distorti su tempi rigorosamente dispari, mantenuti con sudore da quel metronomo biologico che è Marco. 
È da quando conosco Aurelio che vengo quotidianamente tormentato dai numeratori dei tempi delle canzoni che ascolta. Io, che riesco a malapena a contare fino a quattro, ho sempre annuito facendo finta di capire. 
Un pervertito del genere non poteva che trovarsi a suo agio con Giovanni, che probabilmente avrà qualche debito di gioco con Chris Squire. Quando vidi eseguire live il loro primo pezzo, ricordo ancora lo sguardo stralunato di Marco che implorava pietà…
A questi tre brutti ceffi l’anno scorso si è aggiunto Guido, un virtuoso chitarrista nonché uno dei più grandi showman che conosca, un personaggio che carica ogni pezzo di una cruda essenza metallara, tanto che gli altri sono spesso costretti tenerlo a bada.
La caratteristica fondamentale dei Room 6 è l’essenzialità dei loro pezzi, che corrono lungo linee distortissime ma estremamente precise, lasciando spazio a raffinate melodie su cui si innestano le schiette liriche di Giovanni, vagamente cantautorali e rigorosamente in Italiano (cosa rara per un gruppo di giovani metallari alternativi). Il tutto culmina con i capolavori solistici che Aurelio dipinge sapientemente con la sua chitarra dal sapore Tremontiano.
Nonostante i tempi dispari, non aspettatevi di ondeggiare dolcemente nella tipica aria di sacralità che spesso circonda qualsiasi altro gruppo progressive. Chi conosce la musica non potrà far altro che ammirare l’architettura dei pezzi ed un bacchettone ignorante come me a stento si tratterrà dal dimenarsi lanciando qualche gridolino sotto quelle ritmiche incalzanti.
È raro trovare un gruppo che sappia scrivere in maniera non banale senza necessariamente riempire di ghiaia le mutande dell'ascoltatore medio di Virgin Radio.
Per ora, queste quattro teste gloriose se ne stanno ancora in studio a scrivere. Hanno accumulato un bel po' di pezzi che, per ora, presentano live di locale in locale aspettando di lavorare finalmente ad un disco. Forse arriverà entro l’anno. Vedremo…
Ma in tutto questo, io che c'entro?
Fondamentalmente avrete capito che sono uno di quei fanatici che senza alcuna esitazione si etichetterebbe come ammiratore numero uno. Sarò stato al 95% dei loro concerti e ne sono sempre uscito sudatissimo.
Una sera, al termine di una jam a Viareggio, si parlava di fare un logo per il gruppo. Aurelio, che ha visto fin troppe delle mie pessime caricature dei professori, mi ha indicato. Ed allora giù proposte e bozzetti.
Avrò consumato mezzo blocco da disegno per arrivare ad una conclusione decente. Specialmente è stata dura lavorare a quel qualcosa di femminile che desiderava Giovanni. Ho realizzato un quantitativo tale di studi anatomici su Rihanna che forse neanche Leonardo Da Vinci fece per la Battaglia di Anghiari (ovviamente Leonardo sapeva disegnare e non usò Rihanna come modella e no, maliziosetti che non siete altro, studi anatomici non vuol dire quello che state pensando…)
È venuto fuori qualcosa di accattivante.
Purtroppo, secondo Valeria, la ragazza di Marco, quelle natiche umiliavano troppo le donne. L'opinione rispecchiava quella delle altre fanciulle che hanno preso visione del bozzetto. Perciò abbiamo deciso di eliminare il qualcosa di femminile in favore di una scritta che fosse semplicemente sinuosa.
Tra gli altri prototipi di logo, personalmente, me ne piaceva uno tutto spigoloso a forma di chiave ma, quando l’ho fatto vedere a Giovanni, essendo provvisoriamente colorato di blu e rosso, mi ha detto: “Sai che mi è venuto in mente appena l'ho visto? Jeeg Robot!”
Alla fine ho preso il logo sessista, l'ho ripulito dai glutei, ed ho giocato con un po' di grafica vettoriale. Ho eliminato la silhouette di spalle che si spogliava nel profilo della serratura ed ho inserito quest'ultima in un semplice 6 centrale. Mi è stato indicato di fare una scritta verde su sfondo nero. Il risultato è stato il seguente:

Sala 6

Mi pare di sentire da lontano un'orda di giudizi in arrivo. 
Sono consapevole che non si tratta del migliore dei loghi possibili. Non mi stupirei di trovarlo in una simpaticissima classifica dei 100 peggiori loghi della storia della musica rock secondo Rolling Stone. E poi mi è stato già fatto notare che le due O con quel 6 centrale ricordano un po' il muso di un panda gigante (quindi, se qualcun altro dovesse sentire l'impellente necessità di farmelo presente, aggiunga alla sua arguta osservazione il fatto che l’acqua bolle a 100° C a livello del mare, tanto per sapere qualcosa di nuovo…)
Vi lascio liberi di intenderlo come un messaggio subliminale. Quando si saranno stancati delle piramidi massoniche e del satanismo di ignari gruppi hard rock, i programmi televisivi a tema fabbricheranno un quantitativo abnorme di servizi dedicati al panda dei Room 6. Che poi l’inserimento nel logo di un mammifero appartenente alla megafauna carismatica, simbolo di una celebre associazione che tutela l'ambiente e le specie a rischio, fa molto ecologico (che di questi tempi è sempre un’ottima pubblicità) e piace molto alle donzelle.
Altro che sessista.
Qualora i Room 6 in futuro dovessero decidere di cambiare nome o se dovessero imbattersi in un grafico migliore, il logo sicuramente cambierà aspetto. Queste cose evolvono, come le forme di vita.
Staremo a vedere.
Per adesso l'ho pubblicato su questo blog prima di darlo in pasto a Facebook, che ha la malsana abitudine di appropriarsi di qualsiasi cosa (come la vostra anima, ad esempio). Qui, almeno, c'è una minuscola etichetta Creative Commons che lo protegge come una copertina di pile.
Avrei voluto pubblicare qualche altro disegno prima del logo (ho realizzato qualcosina in questi mesi; non sono proprio pigrissimo, eh?) ma i ragazzi premevano per metterlo sulla loro pagina Facebook prima del loro prossimo concerto, che sarà domani sera a Pisa (mettete un Mi piace qui per seguire il gruppo). Se siete nei dintorni andate ad ascoltarli. Il perché non sto a ripetervelo.
Ora ho perso fin troppo tempo e torno a sussurrare percentuali a memoria ossessivamente, come farebbe un bambino savant, per il prossimo esame. 
Mi sento quasi in colpa verso tutti questi esausti studenti che stanno costruendo il loro futuro rinchiusi in un'aula studio. Tranne che per quei due piccioncini di fronte a me. Un po' di decenza, suvvia! C’è gente che sta soffrendo…
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